La bancarotta fraudolenta è un reato fallimentare previsto dall’articolo 216, della legge fallimentare, che distingue tra due fattispecie:
- documentale (quando l’imprenditore adotta condotte che impediscono di ricostruire, dal punto di vista contabile, l’effettivo stato dell’impresa)
- patrimoniale (quando, l’imprenditore ha distratto, occultato, dissimulato, distrutto o dissipato in tutto o in parte i suoi beni ovvero, allo scopo di recare pregiudizio ai creditori, ha esposto o riconosciuto passività inesistenti).
Una sentenza della Cassazione: l‘imprenditore vende le rimanenze di una società in dissesto a prezzo di costo alla new company dei figli. C’è bancarotta fraudolenta?
La Corte di Cassazione ha affrontato di recente il caso di un imprenditore che ha venduto, a prezzo di costo, le rimanenze di magazzino alla new company dei figli. L’imputazione di bancarotta patrimoniale discendeva dall’aver venduto alla società da poco costituita dai figli; società avente la stessa sede legale e che svolge la stessa attività di commercio all’ingrosso e al dettaglio di prodotti ittici.
Secondo i giudici, tanto bastava a dimostrare la continuità aziendale tra le due società finalizzata a sottrarre ogni garanzia patrimoniale ai creditori della società fallita.
La Corte d’appello aveva confermato la condanna già erogata in primo grado per i reati di bancarotta fraudolenta, documentale e patrimoniale, dell’amministratore di fatto di una società a responsabilità limitata fallita.
La Corte con la sentenza n. 5958 del 9 febbraio 2024 ha stabilito che in questo contesto non c’è reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale. Il prezzo, benché irrisorio, era stato pagato e quindi la Corte non ha ritenuto che si sia verificato il fenomeno bad company/new company.
Questo caso si realizza, infatti, quando la società in dissesto trasferisce alla società di nuova costituzione ogni elemento attivo e rimane senza mezzi, dipendenti e avviamento e, quindi, impossibilitata a continuare l’attività.
La Cassazione: non c’è dissipazione, né distrazione
La Cassazione ha accolto il ricorso dell’imprenditore, ritenendo inesistenti sia la distrazione, che la dissipazione.
Le rimanenze di magazzino sono state sostituite dal prezzo che è stato interamente versato. Quindi, la garanzia patrimoniale della fallita è rimasta intatta, anzi, è stata sostituita da liquidità e resa più idonea a soddisfare i creditori.
L’imprenditore non ha neppure dissipato il patrimonio della società perché l’operazione economica che egli ha realizzato rientrava infatti nelle sue libere scelte, compresa quella di individuare il soggetto cui cedere i beni, che ben poteva essere una società di nuova costituzione.
L’imprenditore ha liquidato l’attivo, ha incassato il corrispettivo, e il fatto che questo era inferiore al prezzo applicato in passato per la vendita della merce, che era deperibile e giustificata dalle difficoltà in cui era venuta a trovarsi la società.