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bancarotta fraudolenta

Bancarotta fraudolenta impropria contestata ai responsabili di società fallita 

L’amministratore, il manager, i sindaci e i liquidatori di una società fallita possono essere condannati per bancarotta fraudolenta impropria se aggiustano il bilancio commettendo un reato. 

Nel caso affrontato dalla Corte di Cassazione con la sentenza n. 1782 del 15 gennaio 2024, risultava una riserva tecnica fittizia generata dalla rivalutazione di un immobile di proprietà della società, appostato per un valore superiore a quello di mercato.  

I giudici hanno contestato il reato di bancarotta fraudolenta perché i responsabili di questa supervalutazione avevano la consapevolezza di aggravare con forti probabilità il dissesto finanziario della società.  

La bancarotta fraudolenta impropria è un reato societario 

La bancarotta fraudolenta è un tipico reato societario commesso nell’ambito della fase fallimentare della società. 

Viene definita diversamente a seconda di chi commette la condotta: 

  • è propria quando il reato è commesso dall’imprenditore fallito; 
  • è impropria quando coinvolge altri soggetti, come i sindaci, i liquidatori o gli amministratori della società. 

Se queste persone commettono uno dei reati societari previsti dal Codice civile: 

  • False comunicazioni sociali anche di società quotate (artt. 2621 e 2622); 
  • Indebita restituzione dei conferimenti (art. 2626) 
  • Illegale ripartizione degli utili e delle riserve (art. 2627) 
  • Illecite operazioni sulle azioni o quote sociali o della società controllante (art. 2628) 
  • Operazioni in pregiudizio dei creditori (art. 2629) 
  • Formazione fittizia del capitale (art. 2632) 
  • Indebita ripartizione dei beni sociali da parte dei liquidatori (art. 2633) 
  • Infedeltà patrimoniale (art. 2634) 

e alla commissione di uno o più di questi reati segue il fallimento della società, si avrà la bancarotta fraudolenta impropria da reato societario prevista dall’articolo 223, comma 2, n. 1, della Legge fallimentare 

 

Il caso in esame: riserva straordinaria di rivalutazione dell’immobile 

Nel caso esaminato dalla Suprema Corte nella recente sentenza citata, il ricorso degli amministratori di una Srl fallita, condannati per il reato di bancarotta impropria da reato societario, è stato respinto perché sono risultati consapevoli di aver aggravato, con la loro condotta, il dissesto della società.  

Questi amministratori hanno attribuito ad un immobile di proprietà della società un valore superiore a quello di mercato generando la relativa riserva di bilancio.  

A questa riserva erano state imputate le successive perdite da cui è conseguita la prosecuzione dell’attività e l’aggravamento del dissesto finanziario della società. 

Gli imputati negavano che la propria condotta avesse rilevanza penale. Nella loro difesa hanno sostenuto che le valutazioni di stima non costituiscono il reato di false comunicazioni sociali previsto dall’articolo 2621 del Codice civile, come modificato dalla legge 27 maggio 2015, n. 69.  

Sostenevano anche di non aver agito con dolo per conseguire un profitto proprio o altrui, né che ci fosse un nesso di causa tra la valutazione eccessiva, il dissesto finanziario e il successivo fallimento della società. 

 

I corretti criteri di valutazione contabile 

La Corte è stata di tutt’altro parere e ha riproposto il principio secondo cui, anche quando si espongano in bilancio “enunciati valutativi”, il reato di bancarotta fraudolenta impropria di cui all’articolo 223, comma 2, n. 1, della Legge fallimentare, da reato di false comunicazioni sociali, è configurabile se in presenza di criteri di valutazione normativamente fissati o di criteri tecnici generalmente accettati, il responsabile se ne discosti consapevolmente e senza fornire una adeguata informazione giustificativa contribuendo in modo concreto a indurre in errore i destinatari delle comunicazioni. 

Da notare che l’immobile pochi mesi prima, era stato stimato per essere assicurato ma la successiva iscrizione a bilancio era obiettivamente e ingiustificatamente superiore al valore di mercato indicato per la polizza. 

Il discostamento dal principio contabile applicabile comporta una riserva tecnica che in questo caso era fittizia, non avendo riscontro nel valore effettivo dell’immobile, così da non potersene avvalere a copertura delle perdite. 

Per la Cassazione, inoltre, il dolo degli amministratori era provato dal fatto che non avessero applicato i corretti criteri di valutazione contabile con lo scopo preciso di coprire le perdite che continuavano ad accumularsi, così aggravando il dissesto della società e violando la legge. 

Anche se il dissesto era già in atto, il solo aggravamento consapevole è un elemento del dolo richiesto per configurare questo reato. 

Il dolo specifico infatti risiede nella «volontà protesa al dissesto», intesa come la consapevolezza della diminuzione della garanzia dei creditori e dello squilibrio economico che ne consegue. 

In questo senso la Corte si era già espressa in un’altra sentenza, la Sez. 5, n. 50489 del 16/05/2018, Rv. 274449.