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Crediti “inesistenti” e crediti “non spettanti”

La Cassazione interviene sulla differenza tra il dato normativo e il consolidato orientamento giurisprudenziale dell’indebita compensazione dei crediti
di Mennato Fusco e Andrea Filippo Mainini

La Corte di Cassazione, Sezione Tributaria (VI), è intervenuta sulla questione dell’indebita compensazione dei crediti ritenendo non aderente alla ratio e alla lettera della norma il consolidato orientamento della Corte secondo cui non vi è alcun distinguo tra crediti inesistenti e crediti non spettanti. Con ordinanza interlocutoria n. 29717 del 29.12.20 i giudici hanno rinviato la causa alla Sezione V della Corte. Il fatto era inerente l’impugnazione di un atto di recupero di un credito IVA emesso nei confronti di una società dall’Agenzia delle Entrate.

La CTR lombarda rigettava l’appello della stessa avverso la sentenza di primo grado che aveva annullato l’atto impositivo con riferimento ad un credito ritenuto “non spettante”, considerando l’amministrazione finanziaria decaduta dal potere di accertamento. L’avviso di accertamento veniva notificato oltre il termine quadriennale di cui al D.P.R. n. 600/1973, art. 43, ritenendo applicabile alla fattispecie in esame il termine di otto anni previsto dal D.L. n. 1852008, art. 27, comma 16, convertito dalla L. n. 2/2009. Per la CTR, invece, il termine di otto anni non è applicabile alla predetta fattispecie in quanto riferibile ai soli crediti “inesistenti” – “l’atto [] emesso a seguito del controllo degli importi a credito indicati nei modelli di pagamento unificato per la riscossione di crediti inesistenti utilizzati in compensazione [] deve essere notificato, a pena di decadenza, entro il 31 dicembre dell’ottavo anno successivo a quello del relativo utilizzo” (art. 27, comma 16, del D.L. n. 185 del 2008). Per la riscossione dei crediti “non spettanti” deve applicarsi il termine decadenziale “corto” (oggi quinquennale) previsto per la notifica degli avvisi di accertamento (art. 43, DPR 600/1973).

Differente è anche il regime sanzionatorio: “Nel caso di utilizzo di un’eccedenza o di un credito d’imposta esistenti in misura superiore a quella spettante o in violazione delle modalità di utilizzo previste dalle leggi vigenti si applica [] la sanzione pari al trenta per cento del credito utilizzato” (art. 13 del d.lgs. 18.12.97, n. 471, comma quarto)  con riferimento ai crediti “non spettanti” e “Nel caso di utilizzo in compensazione di crediti inesistenti per il pagamento delle somme dovute è applicata la sanzione dal cento al duecento per cento della misura dei crediti stessi” (comma quinto) per i crediti inesistenti. La VI Sezione, pur rilevando che l’orientamento consolidato della Corte sia quello di “non elevare l'”inesistenza” del credito a categoria distinta dalla “non spettanza” in riferimento al termine di decadenza per il recupero del credito (Cass., Sez. Trib., 21 aprile 2017, n. 10112; Cass., Sez. Trib., 2 agosto 2017, n. 19237; e, da ultimo, Cass., Sez. Trib., 30 ottobre 2020, n. 24093), ritiene non essere priva di rilevanza logico-giuridica la distinzione tra le due ipotesi, avendo il Legislatore previsto chiaramente due diverse categorie di crediti indebitamente compensati.

Alla luce della discrepanza tra il dato normativo e il consolidato orientamento della Suprema Corte e dell’Agenzia delle Entrate (circolare n. 31/E del 23 dicembre 2020) appare condivisibile – anche tenuto conto delle rilevanti ripercussioni che potrebbero conseguire dal mancato distinguo tra le due ipotesi – la scelta di rimettere la causa a Sezione diversa della Corte.

Su Italia Oggi – avvocati Mennato Fusco e Andrea Mainini


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