Nello scenario attuale sono dovute due considerazioni di carattere economico. L’attuale crisi sanitaria Covid-19 ha avuto un impatto rilevante sulla mancanza di liquidità in capo alle imprese. Nonostante ciò, il tessuto imprenditoriale italiano non è rimasto a guardare ed anzi, l’effervescente situazione delle Pmi innovative e la sempre più marcata propensione delle Startup a ricorrere al mercato dei capitali o ai portali di crowdfunding per raccogliere liquidità, son motivi di ragionamento per vecchi e nuovi imprenditori per valutare l’adozione di strumenti di partecipazione al capitale che, benché di origine antica, risultano utili nel contesto presente.
In tempi non sospetti il Legislatore ha introdotto una nuova disciplina per le Startup (D.L. n. 179/2012) e, tra le molte novità, ha gettato le basi per valorizzare l’impiego del capitale umano (due delle grandi novità sono rappresentate dai piani di incentivazione e remunerazione – normalmente applicabili alle Società per Azione – anche a favore delle Società a responsabilità limitata e dall’introduzione dello strumento del Work For Equity). Le norme introdotte hanno trovato il positivo giudizio di quelle realtà imprenditoriali di nuova costituzione caratterizzate da carenza di liquidità ma abbondanza di idee e innovazione: le Startup non impegnano in tal modo molte risorse economiche sotto forma di stipendi o compensi e si garantiscono maggiore volano per investimenti di altra natura; d’altra parte, i collaboratori della società hanno la possibilità di contribuire allo sviluppo della stessa e di partecipare, al momento del raggiungimento del futuro successo aziendale, ad una quota parte di capitale maggiore rispetto a quello di cui avrebbero beneficiato alla nascita della società. Il Work for equity e le stock option sono gli strumenti più utilizzati nella prassi.
Le suddette fattispecie si differenziano per due elementi essenziali: I) i beneficiari dei piani di stock option possono essere solamente i dipendenti e gli amministratori della società “emittente” mentre nel work for equity possono essere inclusi anche soggetti esterni alla società; II) le stock option attribuiscono solamente diritti di opzione sulla partecipazione mentre il work for equity prevede l’attribuzione della quota stessa e non i diritti di acquisto o di sottoscrizione della partecipazione. Nessuna differenza per quanto concerne i diritti amministrativi attribuibili.
Il work for equity è perciò uno strumento che può ben adattarsi a diverse esigente, finanche quelle di voler remunerare soggetti esterni alla società quali i primi fornitori di una Start Up. Il piano di stock option è più adatto per le realtà societarie che prevedono un rapido sviluppo od il raggiungimento di obiettivi.
Un esempio pratico di tale ultima affermazione si può riscontrare nel tanto discusso piano di stock option di Tesla Inc. Si tratta di un piano di stock option per obiettivi sottoscritto nel 2018 dall’ad di Tesla, Elon Musk e le cui condizioni si sono avverate il 28 maggio 2020 consentendo all’ad di esercitare il proprio diritto di opzione e di acquistare circa 2 milioni di azioni per un controvalore alla data di esercizio di 770 milioni di dollari. Il manager non ha tuttavia potuto vendere alcuna azione sul mercato dal momento che il suo piano prevedeva un obbligo di detenere le stesse per un periodo minimo di 5 anni. Durante il mese di luglio 2020 è maturato un secondo piano di stock option e Musk ha avuto la possibilità di acquistare una seconda tranche di altrettante azioni. Il valore totale del diritto di opzione previsto dal piano di stock option ammontava, al mese di ottobre 2020, a circa 4,2 miliardi di dollari.
Esaminiamo quindi la situazione italiana per quanto concerne la predisposizione dei piani di stock option.
In Italia, la previsione normativa che consente l’assegnazione ai dipendenti o ai manager di strumenti partecipativi al capitale è contenuta nell’articolo 2349 del Codice Civile per quanto concerne le Società per Azioni, mentre, come già accennato, le Società a responsabilità limitata possono predisporre piani di stock option solamente se iscritte nel registro delle PMI innovative. Vi sono poi altri articoli di contorno rispetto al contratto di stock option: a titolo esemplificativo il 2441 c.c. sul diritto di opzione, il 2357 c.c. sulla possibilità di acquisto delle azioni proprie, il 2358 c.c. sulla possibilità di accordare prestiti ai dipendenti in caso di acquisto oneroso…
Non vi è tuttavia una vera definizione di stock option nell’ordinamento italiano. La dottrina li definisce come strumenti tecnicamente assimilabili alle opzioni call di derivazione americana che concedono al beneficiario il diritto di acquisire/sottoscrivere i titoli della società o di altra società del gruppo a decorrere da una certa data o al raggiungimento di determinati obiettivi (data di maturazione o c.d. excercising) ad un dato prezzo (prezzo di esercizio). Tra la data di assegnazione e la data di maturazione (periodo di c.d. vesting) il piano non garantisce al beneficiario alcun diritto ad eccezione, caso piuttosto raro, della possibilità di cedere a terzi la call option.
I piani di stock option possono essere modellati sulle esigenze della società e dei beneficiari, sia nella loro strutturazione sia negli obiettivi o nel periodo di maturazione.
La prassi ha elaborato nel corso degli anni molteplici e differenti modalità operative che possono tuttavia essere classificate in tre grandi famiglie. I piani di stock option puri prevedono che al beneficiario vengano assegnate opzioni a sottoscrivere o ad acquistare in futuro azioni della società ad un prezzo determinato. I piani stock grant consentono l’assegnazione gratuita al beneficiario al verificarsi di determinate condizioni.
I piani definiti stock purchase accordano il diritto di acquistare immediatamente le azioni oggetto del piano a prezzo e condizioni di favore.
Abbiamo elencato i piani di stock option prettamente azionari, dove l’oggetto del diritto è sempre, con diverse modalità, l’azione o la quota. Esistono tuttavia anche i c.d. phantom stock plans che pur non prevedendo la possibilità di sottoscrizione o acquisto di azioni o quote da parte del beneficiario, lo stesso riceve molti dei vantaggi che deriverebbero dalla proprietà di azioni o quote, tra i quali diritti di natura patrimoniale parametrati all’andamento dei titoli (in caso di società quotate). Questo tipo di piano viene talvolta definito “shadow stock”.
Come visto, sia le stock option che le stock purchase prevedono la sottoscrizione del diritto di opzione ad un prezzo predefinito. Stabilire un prezzo troppo elevato renderà il piano poco utile ed appetibile per il beneficiario e, d’altro canto, un prezzo troppo basso potrebbe essere valutato dagli altri azionisti o dal mercato come una svalutazione delle prospettive di crescita della società o come una distribuzione non equa e proporzionata del capitale tra i soci che hanno conferito direttamente capitale e coloro che invece apportano solamente le proprie expertise. È prassi quindi adottare un prezzo di esercizio pari al valore delle azioni al momento della assegnazione (alcuni piani prevedono invero uno sconto sul prezzo). In tal modo, il beneficiario si vedrà riconosciuta, al momento della data di maturazione, una differenza positiva tra il prezzo di assegnazione e quello di esercizio. Il vantaggio diventa ancora più evidente nel momento in cui la data di maturazione sia conseguenze del raggiungimento di un obiettivo per indice che, per le società quotate, può essere rappresentato dal valore del titolo negoziati sul mercato.
L’individuazione del prezzo della call option è di competenza dell’organo ammnistrativo, il quale deve predisporre un regolamento di piano definendo, oltre al prezzo, anche I) i termini e le modalità di assegnazione delle opzioni (numero delle quote del capitale sociale assegnate, la natura onerosa o gratuita dell’assegnazione, il ricorso alla vendita di azioni proprie o la delibera di un aumento di capitale, la previsione degli effetti diluitivi…); II) le condizioni e le date di maturazione; III) l’eventuale periodo di lock up; IV) gli effetti che si produrrebbero al verificarsi di determinati avvenimenti. Per quanto riguarda quest’ultimo punto, il regolamento dovrà prevedere sicuramente le conseguenze di un’interruzione del rapporto di lavoro con il beneficiario del piano. Generalmente il piano prevede l’estinzione delle opzioni maturate nel caso di licenziamento del beneficiario per giusta causa; nel caso in cui il beneficiario rassegnasse le proprie dimissioni, lo stesso avrebbe diritto ad un breve periodo di esercizio delle opzioni che siano però già maturate (quelle non ancora maturate non potranno ovviamente essere esercitate).
Premessa la predisposizione del regolamento a cura dell’organo amministrativo, lo stesso deve proporlo all’assemblea dei soci per l’approvazione. L’esecuzione del piano sarà poi di competenza dell‘organo amministrativo ovvero del consigliere delegato per le risorse umane.
Per quanto concerne gli adempimenti inerenti la tempistica di attuazione, la società dovrà stabilire in modo inequivoco i termini entro cui: 1. la società dovrà comunicare il piano al beneficiario; 2. il beneficiario dovrà dare comunicazione di adesione al piano; 3. la società dovrà comunicare la maturazione degli obiettivi o della data di excercising; 4. il beneficiario dovrà far valere il proprio diritto nonché provvedere alla corresponsione del prezzo dovuto; 5. la società dovrà rendere disponibili i titoli; 6. il beneficiario dovrà trattenere i titoli senza poterli alienare (c.d. lock up period).
Preme aggiungere infine che, in conformità alle prescrizioni di cui all’art. 114-bis del D.Lgs. 24 febbraio 1998, n. 58 (il “Testo Unico della Finanza” ovvero il “TUF”), nonché alle prescrizioni dell’art. 84-bis della delibera Consob n. 11971/99 (il “Regolamento Emittenti”) in materia di informazioni che devono essere comunicate al mercato in relazione all’attribuzione di piani di compensi basati su strumenti finanziari a favore di componenti del Consiglio di Amministrazione, di dipendenti, nonché a favore di componenti del Consiglio di Amministrazione, di dipendenti di altre società controllanti o controllate, le società quotate sono soggette ad obblighi di comunicazione al mercato ed alle autorità di controllo e vigilanza.
Quanto appena esposto a proposito delle stock option può valere, con le dovute cautele, anche per altri strumenti partecipativi del capitale, tra cui gli strumenti finanziari partecipativi atipici o il c.d. carried interest. Tuttavia, ognuno degli strumenti appena accennati ha una sua peculiarità e, soprattutto, un trattamento fiscale differente. È importante menzionare, benché non sia oggetto del presente scritto che la variabile fiscale impatta in misura diversa a seconda della scelta dell’uno o dell’altro strumento e condiziona considerevolmente le scelte delle società nell’emissione di detti strumenti. Ricordiamo inoltre che, sul punto, l’Agenzia delle Entrate si è più volte espressa nel corso degli anni (non da ultimo con la risposta n. 565 del 1.12.2020 con riferimento al trattamento fiscale dei proventi derivanti da strumenti finanziari aventi diritti patrimoniali rafforzati).
Avv. Andrea Filippo Mainini, Junior Partner at Studio Mainini & Associati