Molti articoli di stampa riportano le seguenti affermazioni: “La moda Crypto potrebbe essere già passata!” oppure “Il volume di trading dei token non fungibili è letteralmente crollato”.
Fughiamo ogni dubbio: non è vero. O meglio, è vero in parte. La capitalizzazione delle cryptovalute è diminuita dal picco massimo di inizio anno ma la cryptomoneta non è NFT, non vi è alcuna identità di genere o specie.
Il token non fungibile (NFT) è una tecnologia e, pertanto, non ha volume di trading. È il volume di trading del bene oggetto del token che è diminuito. Sarebbe come dire che, siccome i quadri di Picasso non vanno più di moda allora sono crollati i volumi di vendita di tele da dipingere: una tela ospita certamente opere di Picasso ma anche opere di altri artisti; la tela può avere inoltre altri scopi che ospitare un disegno.
Purtroppo viviamo in un’era di titoli click-bait e possiamo comprendere che non tutti i lettori abbiamo una competenza specifica sul tema.
Per meglio chiarire, l’NFT è una tecnologia in grado di certificare l’autenticità dell’identità di un dato.
Se si abbina un NFT ad un’opera d’arte, un brevetto o una canzone l’insieme delle due componenti costituisce un prodotto digitale che ha vita propria distinta dalle sue componenti. Tale funzione di “certificazione” ha mosso una vera e propria rivoluzione nel campo del diritto d’autore.
L’NFT può anche essere abbinato ad uno smart contract e viene ospitato sulla blockchain.
Si tratta di tre tecnologie completamente differenti tra loro e spesso confuse.
NFT è un certificato, un gettone.
Gli smart contract sono veri e propri programmi che consentono di attribuire dei comportamenti definiti al fronte di verificarsi di alcuni precisi eventi.
La blockchain è un sistema, un luogo ove tutte queste tecnologie vivono.
È un male che sia scoppiata la bolla degli NFT come opere digitali?
Assolutamente no. Il crollo ha allontanato, per ora, chi si era avvicinato alla tecnologia solamente a fini speculativi e sta incentivando lo sviluppo di tecnologie realmente utili e futuribili.
E poi, d’altronde, i tulipani sono ancora in commercio e rallegrano con i loro colori chiunque li guardi, nonostante la bolla speculativa del XVII secolo.