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L’importanza della prevenzione:

modalità di accesso allo “smart working” nell’attuale panorama emergenziale derivante dal #coronavirus

L’evolversi della situazione di pericolo di contagio e diffusione dell’epidemia da coronavirus 2019-nCoV si riverbera nel campo del lavoro, che sta cercando di affrontare gli aspetti correlati al rischio biologico in atto.

            Tra le misure preventive ed operative da attuare, sia per evitare possibili rischi di salute sui lavoratori derivanti dal contatto con persone infette, sia per scongiurare la sospensione (parziale o totale) dell’ordinaria attività, con riflessi negativi sul volume d’affari delle aziende, vi è la modalità del lavoro a distanza (c.d. “lavoro agile” o “smart working”).

           Il lavoro agile è definito dalla L. n. 81/2017 quale modalità flessibile di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato, senza una postazione fissa, allo scopo di incrementarne la produttività ed agevolare la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro, che prescinde dalla esatta definizione del luogo e dell’orario di lavoro, nel rispetto dei limiti di durata massima dell’orario di lavoro giornaliero e settimanale stabiliti dalla legge e dai CCNL.

            Quindi, implica l’utilizzo di strumenti che permettano di lavorare “da remoto” (ad esempio pc portatili, smartphone e tablet), con un’organizzazione per fasi, cicli e obiettivi, stabilita mediante accordo tra il dipendente e datore di lavoro. Proprio in ragione della sua strutturazione, potrebbero essere determinate delle fasce orarie di reperibilità, che possono essere diverse dall’orario osservato all’interno dell’azienda dai colleghi di lavoro.

Occorre aggiungere che l’Italia ha già avuto esperienze di ricorso al lavoro agile in situazioni di emergenza, per rilanciare un sistema produttivo locale e sostenere le attività presenti nell’area colpita, come per il crollo del ponte Morandi a Genova avvenuto il 14 agosto 2018.

           Orbene, il Decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri del 1° marzo 2020, in vigore dal 2.03.2020, recante ulteriori disposizioni attuative del D.L. n. 6 del 23 febbraio 2020 per l’emergenza epidemiologica, ha esteso per i datori di lavoro (imprese e professionisti) l’applicazione del lavoro agile all’intero territorio nazionale (e non più limitato ad aree ristrette interessate dal rischio), determinandone la durata fino al 31 luglio 2020. Con il nuovo D.P.C.M.: “cessano di produrre effetti il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 23 febbraio 2020, nonché il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 25 febbraio 2020“.

            I tratti salienti di tale tipologia di modalità lavorativa, nella veste “semplificata” che il richiamato D.P.C.M. ha voluto tracciare, possono essere i seguenti:

  1. innanzitutto, per la maggior parte degli interpreti la decisione in merito alla sua attuazione compete sempre al datore di lavoro, non essendoci l’inciso “in via automatica” presente nel primo testo del D.P.C.M. del 23.02.2020 e, soprattutto, alla luce del dato testuale, laddove si legge che: “la modalità di lavoro agile disciplinata dagli articoli da 18 a 23 della legge 22 maggio 2017, n. 81 può essere applicata … dai datori di lavoro … anche in assenza degli accordi individuali ivi previsti”. Alcuni operatori del diritto hanno ritenuto di evincere, dall’analisi del testo e dalla ratio normativa, la circostanza che il dipendente non possa rifiutare la disposizione datoriale, con la conseguenza di poter incorrere in una contestazione disciplinare ed un procedimento relativo a suo carico.

Peraltro, il datore di lavoro nell’esercitare o meno tale facoltà, è bene che valuti che l’eventuale suo rifiuto a concedere l’esecuzione della prestazione lavorativa anche all’esterno dei locali aziendali, potrebbe essere fonte di un’azione risarcitoria nei suoi confronti da parte del dipendente, ove il diniego si riveli ingiustificato, per averlo esposto ad un rischio o, addirittura, per avere patito dei danni.

  1. La novità principale è riconnessa all’attivazione della modalità “agile” di svolgimento del rapporto, che è consentita anche in assenza di un accordo individuale scritto tra le parti.

In proposito:

  1. a) ci potrà essere una comunicazione unilaterale del datore di lavoro per il dipendente, nella quale quest’ultimo viene reso edotto dell’adozione dello smart working;
  2. b) appare sufficiente nella procedura telematica d’emergenza, una comunicazione proveniente dal datore di lavoro al Ministero del lavoro, in forma di autocertificazione, di avviso di attivazione, come chiarito dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali nella sua nota del 24 febbraio 2020: nel campo “data di sottoscrizione dell’accordo”, andrà inserita la data di inizio dello smart working;
  3. c) il lavoratore in smart working è tutelato contro i rischi da infortuni e da malattie professionali per una prestazione lavorativa resa all’esterno dei locali aziendali. Gli obblighi di informativa di cui all’art. 22 della legge 22 maggio 2017, n. 81, che prevede la: “consegna al lavoratore e al rappresentante dei lavoratori per la sicurezza, con cadenza almeno annuale, un’informativa scritta nella quale sono individuati i rischi generali e i rischi specifici connessi alla particolare modalità di esecuzione del rapporto di lavoro”, sono considerati assolti in via telematica anche ricorrendo alla documentazione resa disponibile sul sito INAIL (cfr. art.4, comma 1, lett.a) D.P.C.M. dell’1.03.2020);
  4. tuttavia, si pone all’attenzione che non vi è esonero dal rispettare gli articoli dal 18 al 23 della legge n. 81 del 22 maggio 2017, che regolano lo smart working (ad esempio per l’orario di lavoro, l’utilizzo degli strumenti tecnologici, l’esercizio del potere organizzativo e di controllo, ecc.), posto che sono espressamente richiamati all’articolo 4 del D.P.C.M. dell’1.03.2020.

Malgrado le facilitazioni, si segnala l’esigenza di comunicare al dipendente le indicazioni e previsioni che la legge impone debbano essere contenute nell’accordo di lavoro sottoscritto dal datore di lavoro e dal dipendente, per evitare problematiche, incomprensioni e/o rivendicazioni durante il rapporto di lavoro inter partes o alla sua cessazione.

E’ auspicabile un’apposita comunicazione completa, onde regolamentare alcuni aspetti dell’esecuzione della prestazione lavorativa, stabilendo i tempi di disconnessione dagli strumenti, la fruizione dei riposi, l’esercizio del potere di controllo e le condotte rilevanti per la disciplina del rapporto di lavoro de quo;

  1. l’adozione dello smart working ovviamente dipende dalle mansioni del lavoratore (è più efficace in ambito di information work, lavoro impiegatizio ed informatizzato, mentre è difficilmente prospettabile ad esempio per un operaio addetto ad un impianto), dalla sostenibilità per il datore di lavoro di fornire degli strumenti digitali per lavorare in mobilità, dalla fiducia da riporre nei confronti del dipendente, e da altri fattori differenti caso per caso;
  2. il nuovo decreto consente il ricorso al lavoro agile nell’alveo di quelli in precedenza emanati nella situazione emergenziale e, come precisato, ha una valenza transitoria (la durata termina al 31.07.2020), che è probabile che subisca ulteriori modifiche ed integrazioni, anche per fugare alcuni dubbi interpretativi.

Di conseguenza, la struttura ordinaria e le modalità “normali” di lavoro agile, prescritte dalla legge 22 maggio 2017, n. 81, non sono messe in discussione dalle deroghe parziali.

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In conclusione, appare indubbio che l’impatto dello smart working rispetto alle modalità ordinarie comporti un mutamento culturale, che determina la necessità di modificare le abituali procedure di lavoro e di fissare delle regole comportamentali.

Allo stesso tempo, è essenziale l’adeguamento degli aspetti di sicurezza informatica per i dati sensibili, personali ed aziendali coinvolti, lavorando il dipendente al di fuori dell’area “protetta” aziendale.

Per focalizzare la questione, è utile sottolineare che, ad avviso dell’Osservatorio sullo Smart Working del Politecnico di Milano, lo smart working rappresenta: “un’opportunità per non arrestare la produzione e sperimentare con successo modelli che prediligono la flessibilità”, in vista di una futura sua estensione.

In generale, gli studi hanno ravvisato che il lavoro agile determina un elevato incremento di produttività per le performance individuali e collettive (calcolato in un aumento di produttività dell’ordine del 15 e 20% secondo i dati del Politecnico di Milano), con una ricaduta positiva a livello ambientale in termini di Co2, per la minore mobilità delle persone, con una diminuzione del traffico veicolare.

Da ultimo, è significativo che per i lavoratori che vi rientrano, si rileva una maggiore soddisfazione, collegata alla conciliazione della vita lavorative e personale, nonché la riduzione dello “stress da pendolare”.

Avv. Leonardo Merrino 
Labour Department - Studio Mainini&Associati