Di recente la Suprema Corte di Cassazione con la sentenza n.12921 del 23 giugno 2015, ribadendo il costante insegnamento di legittimità e di merito, ha affrontato la questione particolarmente delicata circa la possibilità da parte del consulente tecnico nominato dal Giudice di poter acquisire aliunde documentazione o notizie nel corso dell’espletamento dell’incarico.
E’ stato espressamente ribadito che “…in tema di consulenza tecnica d’ufficio rientri nel potere del consulente tecnico d’ufficio attingere “aliunde” notizie e dati, non rilevabili dagli atti processuali e concernenti fatti e situazioni formanti oggetto del suo accertamento, quando ciò sia necessario per espletare convenientemente il compito affidatogli, e che dette indagini possono concorrere alla formazione del convincimento del giudice purchè ne siano indicate le fonti, in modo che le parti siano messe in grado di effettuarne il controllo, a tutela del principio del contraddittorio (Cass. n. 13686 del 2001, Cass. n. 3105 del 2004; Cass. n. 13428 del 2008; Cass. n. 1901 del 2010).
E tuttavia occorre chiarire entro che limiti è legittimo l’esercizio di tale facoltà da parte del consulente e quali siano i dati, le notizie, i documenti che egli può acquisire aliunde.
Il criterio guida è che si tratta di un potere funzionale al corretto espletamento dell’incarico affidato, che non comporta alcun potere di supplenza, da parte del consulente, rispetto al mancato espletamento da parte dei contendenti al rispettivo onere probatorio.
Esso viene legittimamente esercitato in tutti i casi in cui al consulente sia necessario, per portare a termine l’indagine richiesta, acquisire documenti in genere pubblici non prodotti dalle parti e che tuttavia siano necessari per portare a termine l’indagine e per verificare sul piano tecnico se le affermazioni delle parti siano o meno corrette (può trattarsi, esemplificativamente, di delibere comunali dalle quali estrarre il coefficiente per determinare il canone di locazione, documentazione relativa ai piani regolatori, dati riscontrabili relativi al valore dei terreni espropriati per verificare che l’indennità di esproprio sia stata correttamente quantificata). Potrà anche, nel contraddittorio delle parti, acquisire documenti non prodotti e che possano essere nella disponibilità di una delle parti o anche di un terzo qualora ne emerga l’indispensabilità all’accertamento di una situazione di comune interesse ( quali atti di frazionamento per individuare il confine tra due fondi).
Può acquisire inoltre dati tecnici di riscontro alle affermazioni e produzioni documentali delle parti, e pur sempre deve indicare loro la fonte di acquisizione di questi dati per consentire loro di verificarne l’esatto e pertinente prelievo.
Quindi l’acquisizione di dati e documenti da parte del consulente tecnico ha funzione di riscontro e verifica rispetto a quanto affermato e documentato dalle parti.
Non è invece consentito al consulente sostituirsi alla stessa parte, andando a ricercare aliunde i dati stessi che devono essere oggetto di riscontro da parte sua, che costituiscono materia di onere di allegazione e di prova (ovvero gli atti e i documenti che siano nella disponibilità della parte che agisce e dei quali essa deve avvalersi per fondare la sua pretesa che non gli siano stati forniti, acquisendoli, come è avvenuto in questo caso, dalla parte che non li aveva tempestivamente prodotti, nonostante l’opposizione della controparte, in quanto in questo modo verrebbe impropriamente a supplite al carente espletamento dell’onere probatorio, in violazione sia dell’art. 2697 cc. che del principio del contraddittorio”.
Con la predetta pronuncia, dunque, la Corte di Cassazione mette la parola fine alla prassi troppo spesso invalsa tra i CTU di acquisire aliunde documenti e dati che non sono entrati nel processo per non essere stati prodotti dalle parti nei termini decadenziali previsti dal codice di procedura civile, così finendo per eludere la norma di cui all’articolo 183 VI comma c.p.c. che prevede precise scansioni temporali per la produzione di documenti.
Già in precedenza il Tribunale di Milano si era uniformato al costante ed univoco orientamento della Suprema Corte in materia di utilizzo di nuovi documenti da parte del CTU: “il consulente può utilizzare documenti che non siano ritualmente prodotti in causa solo se le parti lo consentono e ciò anche nell’ambito dell’esame contabile; qualora se ne tenga conto in mancanza di consenso, la consulenza è nulla con possibilità di sanatoria per effetto della mancata deduzione nella prima istanza o difesa successiva al deposito” (Cass. Civ. 13401/2005, Cass. Civ. n. 12231/2002, Cass. Civ. 8659/1999).
L’orientamento risponde all’esigenza di armonizzare l’attività del consulente con la regola generale prevista dall’art. 2697 c.c.: in nessun caso la consulenza tecnica può servire ad esonerare la parte dal fornire la prova che le spetta fornire in base ai principi che regolano l’onere relativo; solo nel caso di fatti il cui accertamento richieda l’impiego di un sapere tecnico qualificato, l’onere si riduce all’allegazione, spettando poi al Giudice decidere se ricorrono o meno le condizioni per l’ammissione della consulenza tecnica.
La norma di cui all’art. 198 c.p.c. va necessariamente coordinata con i principi che regolano l’attività probatoria delle parti e le decadenze istruttorie: evidentemente, nel suo contenuto, mira ad evitare che la decadenza dalle produzioni documentali possa essere aggirata in sede peritale in quanto, una volta che una parte è incorsa in una decadenza, il Giudice non può rimetterla in termini se non nei casi espressamente previsti dall’art. 184 bis c.p.c..
Il CTU, pertanto, in presenza di opposizione della controparte, non può acquisire al processo i documenti che costituiscono materia di onere di allegazione e di prova tempestiva, così sostituendosi alla parte e finendo impropriamente per supplire al carente e/o mancato espletamento da parte di uno dei contendenti al rispettivo onus probandi, in violazione dell’art. 2697 c.c. e del principio del contraddittorio con conseguente elusione di una norma imperativa qual è quella di cui al già richiamato art. 183 VI comma c.p.c..
Paola Cavallero
Avvocato
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