La Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza 17 settembre – 6 novembre 2019, n. 45115
Presidente De Crescienzo – Relatore Pardo
Ritenuto in fatto
1.1 Con sentenza in data 11 ottobre 2018, la corte di appello di Firenze, confermava la pronuncia del tribunale monocratico di Firenze del 23 luglio 2015 che aveva condannato alle pene di legge M.S. e R.M. , in quanto ritenuti colpevoli del delitto di concorso in truffa.
1.2 Avverso detta sentenza proponevano ricorso per cassazione gli imputati; M. deduceva:
– mancanza o manifesta illogicità della motivazione ex art. 606 c.p.p., lett. e), quanto alla affermazione di responsabilità;
– inosservanza od erronea applicazione della legge penale ex art. 606 c.p.p., lett. b) in relazione alla quantificazione della pena, irrogata in misura non proporzionata.
1.3 R. lamentava:
– erronea applicazione della legge penale con riferimento all’art. 640 c.p., in ordine al riconoscimento nella condotta posta in essere di tutti gli elementi costitutivi la fattispecie di truffa, sebbene fossero assenti artifici e raggiri;
– manifesta illogicità della motivazione ex art. 606 c.p.p., lett. e) nella parte in cui l’affermazione di responsabilità era stata basata su affermazione apodittiche e sulla condotta processuale dell’imputato, senza che fosse stata data risposta alle doglianze proposte con l’atto di appello;
– mancanza della motivazione con riferimento alla determinazione della pena.
Considerato in diritto
I ricorsi sono manifestamente infondati e devono, pertanto, essere dichiarati inammissibili.
2.1 Invero, secondo i precedenti giurisprudenziali di questa corte, integra il reato di truffa contrattuale la mancata consegna della merce acquistata e pagata, nel caso in cui siano stati indicati un “prezzo conveniente” di vendita sul “web” e un falso luogo di residenza del venditore, posto che tale circostanza, rendendo difficile il rintraccio, evidenzia sintomaticamente la presenza del dolo iniziale del reato, da ravvisarsi nella volontà di non adempiere all’esecuzione del contratto sin dal momento dell’offerta on-line (Sez. 2, n. 43660 del 19/07/2016, Rv. 268448); ed in altra ipotesi in cui l’imputato che, dopo essersi accreditato sul sito “(…)” ed aver messo in vendita un bene, aveva riscosso il prezzo richiesto senza consegnare il bene all’acquirente, provvedendo – dopo la transazione – a far cancellare il proprio “account” dal predetto sito, in modo da ostacolare le operazioni dirette alla sua identificazione, si è affermato che il mancato rispetto da parte di uno dei contraenti delle modalità di esecuzione del contratto, rispetto a quelle inizialmente concordate con l’altra parte, unito a condotte artificiose idonee a generare un danno con correlativo ingiusto profitto, integra l’elemento degli artifici e raggiri richiesti per la sussistenza del reato di cui all’art. 640 c.p. (Sez. 6, n. 10136 del 17/02/2015, Rv. 262801).
E del resto la vendita on line è fondata sull’affidamento del compratore nella offerta del venditore che viene pubblicizzata esclusivamente attraverso un portale internet. Ne deriva che il venditore non può vedere la merce che acquista e si affida integralmente per l’indicazione delle caratteristiche, le qualità del prodotto ed il prezzo di vendita alle indicazioni che vengono pubblicizzate dal venditore. Proprio tale particolare caratteristica delle vendite on line determina la natura di artificio e raggiro della messa in vendita di un oggetto ad un prezzo estremamente conveniente in assenza dello stesso, ovvero, senza che la successiva mancata consegna sia dovuta a specifici fattori intervenuti ed adeguatamente esposti dal venditore, ove lo stesso ometta anche la dovuta restituzione del prezzo. Tale condotta, infatti, stigmatizza la presenza del dolo iniziale di truffa poiché manifesta chiaramente l’assenza di reale volontà di procedere alla vendita da parte del soggetto che, incamerato il prezzo, ometta la spedizione, rifiuti la restituzione della somma ed altresì ometta di indicare qualsiasi circostanza giustificativa tale doloso comportamento. E sotto il profilo oggettivo, gli artifici e raggiri vanno individuati nella registrazione presso un portale di vendite on line, nella pubblicazione dell’annuncio unito alle descrizione del bene, nella indicazione di un conveniente prezzo di vendita che sono tutti fattori tesi a carpire la buona fede dell’acquirente ed a trarre in inganno il medesimo.
L’applicazione dei sopra esposti principi comporta proprio affermare l’infondatezza manifesta dei motivi di gravame proposti in punto sussistenza della truffa nei ricorsi degli imputati, poiché i giudici di merito, con valutazione conforme, hanno proprio evidenziato l’avvenuta cessione di un bene (personal computer) ad un prezzo certamente conveniente (140 Euro) che non veniva seguita né dalla restituzione del prezzo né da alcuna giustificazione sulla mancata consegna.
2.2 Quanto agli altri motivi, proposti da entrambi i ricorrenti si osserva che:
– la responsabilità del M. è correttamente giustificata dalla corte di appello che indica specificamente a pagina 6 della motivazione i criteri sulla base dei quali affermare anche l’esistenza dell’elemento soggettivo in capo al ricorrente il quale, intestandosi una carta in uso al correo in cambio di una somma di denaro, certamente accettava il rischio dell’uso illecito;
– adeguata appare la giustificazione fornita dalla corte di appello circa la determinazione della pena poiché il giudice di secondo grado ha dedicato ampie osservazioni ai motivi di doglianza sul punto, evidenziando l’abituale dedizione al delitto contro il patrimonio di entrambi i ricorrenti e la sussistenza delle condizioni per il riconoscimento della recidiva oltre che l’avvenuta determinazione della sanzione in misura pari ai minimi sui quali veniva operato l’aumento ex art. 99 c.p..
In conclusione, le impugnazioni devono ritenersi inammissibili a norma dell’art. 606 c.p.p., comma 3; alla relativa declaratoria consegue, per il disposto dell’art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché al versamento in favore della Cassa delle ammende di una somma che, ritenuti e valutati i profili di colpa emergenti dal ricorso, si determina equitativamente in Euro 2.000,00 ciascuno.
P.Q.M.
Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro duemila ciascuno in favore della Cassa delle ammende.
Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza 2 marzo – 18 aprile 2017, n. 18821
Presidente Fiandanese – Relatore De Santis
Ritenuto in fatto e considerato in diritto
- Con sentenza in data 7.11.2012 il Tribunale di Locri, Sezione Distaccata di Siderno, dichiarava lo S. colpevole del delitto di truffa in danno di Sg.Pe. consistita nell’offerta in vendita su un sito internet del veicolo Aixan 50 al prezzo di Euro 3.000 e nella convenuta cessione alla p.o., da cui riceveva l’acconto di Euro 500 sul conto corrente postale a suo nome, omettendo – tuttavia – di adempiere alla consegna del veicolo e rendendosi irrintracciabile. La Corte d’Appello con l’impugnata sentenza qualificava il fatto ex art. 641 cod.pen. e rideterminava la pena in mesi 4 di reclusione in luogo di mesi 6 di reclusione ed Euro 500 di multa.
- Ha proposto ricorso per Cassazione l’imputato personalmente, deducendo l’inosservanza o erronea applicazione della legge penale e correlato vizio della motivazione in relazione alla ritenuta insolvenza fraudolenta, avendo la Corte territoriale omesso di motivare in ordine agli elementi dai quali ha desunto l’iniziale stato di insolvenza dello S. e il consequenziale proposito di inadempimento, vertendosi in ipotesi di condotta penalmente irrilevante.
- La Corte d’appello ha ritenuto di dover qualificare la pacifica condotta del prevenuto, consistita nella vendita di un veicolo per via telematica, nella ricezione dell’acconto e nella successiva mancata consegna del bene, quale insolvenza fraudolenta sull’assunto della mancata ravvisabilità di artifizi e raggiri, valorizzando la pretesa dissimulazione da parte del ricorrente di uno stato d’insolvenza. Nella giurisprudenza di legittimità è pacifica l’affermazione che sussiste l’ipotesi della truffa e non dell’insolvenza fraudolenta, o del mero illecito civile, quando l’inadempimento contrattuale sia l’effetto di un precostituito proposito fraudolento (Sez. 2, n. 43660 del 19/07/2016, P.M. in proc. Cristaldi, Rv. 268448; Sez. 6, n. 10136 del 17/02/2015 Sabetta, Rv. 262801; Sez. 2, n. 14674 del 26/02/2010, Salord, Rv. 246921).
Pertanto deve ritenersi integrata la truffa contrattuale in caso di mancata consegna di merce offerta in vendita ed acquistata sul web, allorché al versamento di un acconto non faccia seguito la consegna del bene compravenduto e il venditore risulti non più rintracciabile giacché tale circostanza evidenzia sintomaticamente la presenza del dolo iniziale del reato, da ravvisarsi nella volontà di non adempiere all’esecuzione del contratto sin dal momento dell’offerta on-line.
Il fatto deve essere, dunque, riqualificato ex art. 640 cod. pen. con conseguente annullamento senza rinvio e rigetto nel resto.
P.Q.M.
Annulla senza rinvio la sentenza impugnata sul punto della qualificazione giuridica del fatto che deve essere riqualificato ai sensi dell’art. 640 c.p. e rigetta nel resto il ricorso.
Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 22 marzo – 10 aprile 2017, n. 17937
Presidente Rotundo – Relatore Criscuolo
Ritenuto in fatto
- Il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Sassari propone ricorso avverso l’ordinanza indicata in epigrafe con la quale il locale Tribunale, adito ex art. 310 cod. proc. pen., ha respinto l’appello proposto avverso l’ordinanza del G.i.p. del medesimo Tribunale, che aveva respinto la domanda cautelare formulata nei confronti di C.A. per i reati di cui all’art. 640, comma 2 n. 2 bis, cod. pen. – per aver posto in vendita sul sito (omissis) due computer ed un iPad a prezzi convenienti, non consegnati agli acquirenti o consegnando beni totalmente difformi, pagati a mezzo bonifico su conto riconducibile a carta intestata al C. -, escludendo la sussistenza dell’aggravante di cui all’art. 61 n. 5 cod. pen. e, dunque, la possibilità, in ragione del limite edittale, di adottare la misura cautelare.
Anche il Tribunale ha condiviso il ragionamento del G.i.p. non ravvisando nel caso di specie, avente ad oggetto due truffe on line, l’aggravante della minorata difesa, in quanto l’annuncio sul web costituirebbe una modalità della condotta e non un elemento ulteriore, integrante la circostanza aggravante con approfittamento di una circostanza di luogo. Il Tribunale ha ritenuto che i siti internet di scambi commerciali costituiscono il mezzo attraverso il quale le parti, che vogliono concludere un affare, si cercano e si trovano, con la conseguenza che chi si determina a concludere tale tipo di acquisto ne accetta i rischi connessi, rinunciando consapevolmente a visionare il bene ed affidandosi alla buona fede dell’interlocutore virtuale cosicché tale modalità di vendita non pone di per sé l’acquirente in una condizione di minorata difesa, in quanto la distanza accomuna entrambe le parti.
Il ricorrente deduce violazione di legge e censura tale valutazione sulla scorta dell’orientamento giurisprudenziale sul tema, sottolineando che proprio la distanza tra il luogo in cui si trova l’autore del reato e quello in cui si trova l’acquirente consente al primo di celare la propria identità e le proprie intenzioni fraudolente, impedendo qualsiasi verifica sull’esistenza del bene e ponendolo in una posizione di maggior favore rispetto alla vittima.
Considerato in diritto
- Il ricorso è fondato.
L’aggravante della minorata difesa è configurabile quando l’agente abbia “approfittato di circostanze di tempo, di luogo o di persona, anche in riferimento all’età, tali da ostacolare la pubblica o privata difesa” ovvero di condizioni oggettive, conosciute dall’agente e delle quali lo stesso abbia consapevolmente approfittato.
Nel caso in esame, trattandosi di truffe on line, commesse pubblicizzando i prodotti su siti internet, viene in rilievo la sola circostanza di luogo di commissione del reato, da intendere come luogo in senso fisico, non virtuale, quale elemento valutabile ai fini dell’aggravante.
La giurisprudenza di questa Corte ha, infatti, precisato l’impossibilità di fare riferimento al circuito internet come luogo inteso in senso fisico, in quanto inapplicabile ad una realtà virtuale e smaterializzata, dovendosi, invece, avere riguardo ad un luogo fisico di commissione del reato, individuabile per le truffe on line nel luogo in cui si trovava l’agente al momento del conseguimento del profitto (Sez. 2, n. 7749 del 04/11/2014, Giannetto, Rv. 264696), caratterizzato per la peculiarità di tale tipo di transazioni dalla distanza fisica rispetto a quello in cui si trova l’acquirente.
Tale circostanza oggettiva, ben nota a colui che pone in vendita i prodotti- la distanza rispetto al luogo in cui si trova l’acquirente del prodotto on line, che di norma ne ha pagato anticipatamente il prezzo, secondo la prassi di tale tipo di transazioni e come avvenuto nel caso in esame- è l’elemento che pone l’autore della truffa in una posizione di forza e di maggior favore rispetto alla vittima, consentendogli di schermare la sua identità, di non sottoporre il prodotto venduto ad alcun controllo preventivo da parte dell’acquirente e di sottrarsi comodamente alle conseguenze dell’azione: vantaggi, che non potrebbe sfruttare a suo favore, con altrettanta facilità, se la vendita avvenisse de visu.
Ne discende che la distanza, connessa alle particolari modalità di vendita con utilizzo del sistema informatico o telematico, di cui l’agente consapevolmente approfitta e cui si aggiunge di norma l’utilizzo di clausole contrattuali, che prevedono il pagamento anticipato del prezzo del bene venduto, configura l’aggravante in oggetto, che connota la condotta dell’agente quale elemento ulteriore, peculiare e meramente eventuale, rispetto agli artifici e raggiri tipici della truffa semplice, nella quale l’agente pone in vendita un prodotto del quale non dispone o non si vuole privare a prezzi convenienti per catturare l’attenzione e l’interesse dell’acquirente, che consulta le vetrine virtuali: elementi, ricorrenti nel caso di specie, per avere il C. indicato un falso luogo di residenza ed un prezzo di vendita concorrenziale.
Infondata è la tesi sostenuta dal Tribunale della consapevole esposizione dell’acquirente ai rischi connessi a tale tipo di transazioni, in quanto la truffa non è esclusa dal difetto di diligenza della vittima e, correttamente, è stato osservato che in tal modo si sposta l’attenzione sul comportamento della vittima piuttosto che su quello dell’autore della truffa (Sez. 2, n. 43796 del 29/09/2016, P.M. in proc. Pastafiglia, Rv. 268450).
Per le ragioni esposte l’ordinanza impugnata va annullata con rinvio per nuovo esame al Tribunale di Sassari.
P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame al Tribunale di Sassari.
Riassumendosi può affermare che nelle vendite online, integra il reato di truffa contrattuale la mancata consegna della merce acquistata e pagata ad un prezzo estremamente conveniente, ma anche l’indicazione di un falso luogo di residenza del venditore. Elemento costituivo del reato è la volontà del venditore di non adempiere all’esecuzione del contratto sin dal momento dell’offerta online. Lo ha ribadito la Cassazione con sentenza n. 45115/19 depositata il 6 novembre.
In internet, si trovano numerose offerte, ma chi non vuol subire un danno deve accertarsi che il venditore sia un imprenditore commerciale (una ditta, una società, ecc.) e che sia affidabile (verificando eventuali commenti lasciati sui forum dagli altri utenti). Difatti, è più facile il raggiro quando si ha a che fare con un privato che non svolge tale attività di professione e sta proponendo in vendita un proprio bene di seconda mano. Nel caso, infatti, di acquisti online, la truffa del venditore è a portata di mano e bisogna stare ben attenti. Ora, però, interviene la Cassazione a semplificare le cose per l’acquirente. Con due recenti sentenze, la Corte ha chiarito che la vendita online, quando non accompagnata dalla consegna del prodotto, costituisce truffa aggravata. Insomma, non un semplice inadempimento contrattuale (che, a tutto voler concedere, consente solo un’azione civile di risoluzione del contratto e di risarcimento del danno), né il reato più lieve di insolvenza fraudolenta. Come dire: venditori su internet, state ben attenti perché, se non rispettate gli accordi, potete essere querelati e subire un procedimento penale.
La Cassazione [1] ha detto che chi incassa un anticipo per la vendita online di un oggetto e quindi si rende irreperibile senza provvedere alla consegna, non commette un semplice illecito civile, né il reato di insolvenza fraudolenta, ma mette in atto una vera e propria truffa.
La differenza è sostanziale. Cerchiamo di capire perché.
Quando si conclude un contratto e una delle due parti non adempie ai propri obblighi, si configura un semplice illecito civile. Ecco qualche esempio per capire la differenza.
Un cliente entra in un negozio ed acquista un capo di abbigliamento versando un anticipo. Il venditore, dopo aver incassato i soldi, non consegna l’abito all’acquirente con una scusa qualsiasi e ciò nonostante non restituisce il denaro che ha incassato. Stesso discorso potrebbe avvenire per una vendita su internet: una persona ordina un telefonino da un’azienda che, tuttavia, dopo aver preso i soldi, non consegna l’oggetto.
In entrambi i casi all’acquirente non resterà che azionare una causa civile per ottenere la restituzione del denaro versato.
Ma quando si passa dal civile al penale? Iniziamo dall’ipotesi più tenue. Un acquirente si fa consegnare un oggetto dal venditore promettendo che lo pagherà entro una settimana, avendo la disponibilità sul conto corrente. E, invece, già sa che non è così. Tant’è che dopo sette giorni l’acquirente non versa il corrispettivo, pur trattenendo l’oggetto. In tal caso, il reato è quello di insolvenza fraudolenta: il compratore ha simulato una propria disponibilità economica che, invece, non era sussistente.
Infine, arriviamo all’ipotesi più grave, quella della truffa. La legge richiede che vi siano artifici e raggiri, ossia un ulteriore comportamento volto a far concludere il contratto che, altrimenti, non si sarebbe mai stipulato. È proprio la realizzazione di questi “trucchetti” per far cadere in errore l’altro soggetto a configurare la truffa.
Nella sentenza in commento, la Cassazione sembra allargare i confini della truffa nel caso di acquisti online. Secondo i giudici, la truffa scatta quando l’inadempimento contrattuale è la conseguenza di un preesistente proposito fraudolento. Per la Cassazione, si deve parlare di truffa contrattuale nel caso in cui non venga consegnata la merce offerta in vendita e acquistata via web «allorché al versamento dell’acconto non faccia seguito la consegna del bene compravenduto e il venditore risulti non più rintracciabile». Le modalità dell’azione rendono, infatti, evidente la presenza del dolo iniziale del reato, che va ravvisato nella volontà di non adempiere all’esecuzione del contratto già dal momento dell’offerta online. Detto in termini più semplici, se il venditore ha già premeditato – prima della conclusione del contratto – di ingannare l’acquirente non consegnandogli l’oggetto acquistato, c’è truffa.
In tema di truffa contrattuale, la Cassazione afferma che integra la fattispecie di tale reato «la mancata consegna della merce acquistata e pagata, nel caso in cui siano indicati un prezzo conveniente di vendita sul web e un falso luogo di residenza del venditore». Tale ultima circostanza, infatti, «rendendo difficile il rintraccio, evidenzia sintomaticamente la presenza del dolo iniziale del reato», che deve ravvisarsi «nella volontà di non adempiere all’esecuzione del contratto sin dal momento dell’offerta online».
Del resto, continua la Corte, «la vendita online è fondata sull’affidamento del compratore nell’offerta del venditore che viene pubblicizzata esclusivamente attraverso un portale internet». Ne deriva che il compratore non può vedere la merce che acquista e si affida integralmente per l’indicazione delle caratteristiche, la qualità del prodotto ed il prezzo di vendita alle informazioni fornite dal venditore.
Pertanto, nelle vendite online, la natura dell’artificio o raggiro si manifesta nella messa in vendita di un oggetto ad un prezzo estremamente conveniente in assenza dello stesso e, dunque, nella chiara assenza di reale volontà di procedere alla vendita da parte del soggetto che, incamerato il prezzo, ometta la spedizione, rifiuti la restituzione della somma ed altresì ometta di indicare qualsiasi circostanza giustificativa di tale doloso comportamento.
Vendita online: la truffa online è aggravata
Con una precedente sentenza [2], la Cassazione ha, inoltre, sancito che nelle vendite online la distanza fisica intercorrente tra venditore e acquirente è l’elemento che pone l’autore di una truffa «in una posizione di forza e di maggior favore rispetto alla vittima». Questo significa che il reato di truffa può subire l’applicazione dell’aggravante. Ad essere condannato, nel caso di specie, è stato un privato per aver messo in vendita su un sito di aste online due computer ed un iPad a prezzi convenienti, ma non li aveva mai consegnati agli acquirenti. Posto il reato di truffa, secondo i giudici si può anche applicare l’aggravante, prevista dal Codice penale [3], dell’avere profittato di circostanze di tempo, di luogo o di persona, anche in riferimento all’età, tali da ostacolare la pubblica o privata difesa. Proprio la distanza tra il luogo in cui si trova l’autore del reato e quello in cui si trova l’acquirente consente al primo di celare la propria identità e le proprie intenzioni fraudolente, impedendo qualsiasi verifica sull’esistenza del bene e ponendolo in una posizione di maggior favore rispetto alla vittima.
Corte d’appello di Cagliari, sentenza 87 dell’11 febbraio 2019 e Cassazione, sentenza 9318 del 4 marzo 2019
L’ipotesi aggravata ricorre nelle truffe online soltanto se si prova che il venditore ha consapevolmente e concretamente approfittato del proprio ruolo di vantaggio rispetto alla vittima e delle agevolazioni legate all’utilizzo dello strumento della rete tra cui, ad esempio, la possibilità effettiva di evitare un riscontro sulla qualità del prodotto da parte del consumatore.
Cassazione, sentenza 40045 del 6 settembre 2018
Se l’acquirente paga con un accredito su una carta ricaricabile intestata al venditore, la truffa si consuma al momento della ricarica perché è allora che il venditore consegue il profitto e il patrimonio della vittima diminuisce. Se invece il consumatore paga con bonifico, si tiene conto del giorno in cui la somma viene riscossa e non di quello in cui è stato disposto l’accredito.
Tribunale di Napoli, sentenza 115 del 10 gennaio 2019 e Cassazione, sentenza 9291 del 4 marzo 2019
Nelle truffe online, la competenza territoriale varia in base al mezzo di pagamento. Se il prezzo è stato versato con bonifico, anche solo temporaneamente revocabile, a decidere è il giudice del luogo dove il venditore consegue il profitto. Se, invece, l’accredito è immediato e la disposizione irrevocabile, se ne occuperà il giudice del luogo in cui la vittima ha effettuato il versamento.
Cassazione, sentenza 55147 del 10 dicembre 2018
[1] Cass. sent. n. 18821/17
[2] Cass. sent. n. 17937/17 del 10.04.2017.
[3] Art. 61, n. 5, cod. pen.